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In Italia si legge molto meno che in Svezia e nel Regno Unito dove si contano il 71 e il 63% di lettori sulla popolazione adulta

 

 In Italia si legge molto meno che in Svezia e nel Regno Unito dove si contano il 71 e il 63% di lettori sulla popolazione adulta. Seguiamo la Francia che ha il 44,3% di lettori precedendo con il nostro 42,2% (che al Sud scende sotto il 30%) Irlanda, Spagna, Grecia e Portogallo. Ma la nostra editoria, Nonostantequesti dati e  la lingua italiana   limitatamente letta e parlata all'estero, la nostra editoria occupa   il sesto posto fra le grandi editorie mondiali per fatturato e numero di titoli.

Al convegno tenuto dagli editori riuniti nell'Aie è stato presentato un libro bianco che fotografa gli italiani alle prese con la cultura: quasi 23 milioni leggono un libro all'anno, 5 milioni si informano e si acculturano soltanto attraverso la televisione, il 65& degli italiani rischia il neoanalfabetismo di massa e il 19& assiste ad uno spettacolo teatrale nei dodici mesi. I titoli pubblicati ogni anno sono 53 mila di cui il 60 per cento di novità, 254 milioni le copie pubblicate per un valore di 3 milioni e 600mila euro ad un prezzo medio di 8 euro e mezzo a volume. Ben 75 milioni sono stimati i libri venduti congiuntamente a quotidiani e periodici con l'acquisizione di 850 mila nuovi lettori contro i 100 milioni di stima dei canali tradizionali e telematici.

Secondo l'editore Giuseppe Laterza: «In Italia si spende poco e male: quello che gli editori chiedono non sono grandi cifre. Semplicemente auspicano che le istituzioni pubbliche parlino tra di loro facendosi carico della propria responsabilità».

L’editore Carmine Donzelli, ha sottolineato che : «Serve una politica di respiro per cambiare il modello di scuola d'élite da cui deriva lo zoccolo duro che delimita i lettori ad una élite. Se poi esistesse una rete di punti di vendita di libri a mo’ di presìdi nei luoghi dove mancano, magari grazie ad una politica di sostegno all’occupazione o di incentivazioni fiscali ne discenderebbe un vantaggio generalizzato. In verità manca una politica in materia e non è detto che possa essere neutra o buona per tutti, visto che nel campo esistono grossi gruppi a carattere oligopolistico e attori minori con differenze straordinariamente forti tra i competitors».