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5 agosto 2002.

Lucentini come Primo Levi

Lo scrittore si è tolto la vita a Torino. L'autore de La tregua si uccise a Torino, nello stesso modo, quindici anni fa. Senza dimenticare Cesare Pavese,che si tolse la vita nella stessa città, cinquantadue anni orsono.Franco Lucentini aveva 82 anni ed era malato da tempo.In coppia con Carlo Fruttero aveva scritto La donna della domenica.

 
Franco Lucentini si è suicidato all'età di 82 anni con un tuffo nella tromba delle scale per non lasciare l'ultima parola al cancro che gli stava divorando i polmoni. Era il coautore, insieme a Carlo Fruttero, d'un gigantesco feuilleton italiano. Una narrazione infinita che aveva per capitoli saggi e romanzi, per colpi di scena i corsivi pubblicati dalla Stampa di Torino, per attori e caratteristi le eterne maschere italiane: i demagoghi, i preti, gli affaristi, gli ometti, le donnine, i poliziotti e soprattutto i cretini. Al cretino e al suo stato di grazia, come Flaubert e Cervantes prima di loro, Lucentini & Fruttero si sono ispirati per le loro pagine più beffarde e più belle, che resteranno nella storia della letteratura italiana moderna (dove il cretino, grazie a loro e a pochi altri, non la fa soltanto da padrone, da romanziere e da critico letterario, ma anche da personaggio e da soggetto di studio).Non si è mai capito bene come lavorasse la creatura vagamente chimerica, il vero e proprio animale favoloso a quattro mani e due cervelli che ha firmato, negli anni, titoli come La donna della domenica, L'amante senza fissa dimora, Il palio delle contrade morte e soprattutto A che punto è la notte (uno, se non l'unico, dei grandi romanzi italiani del dopoguerra).

Scrivevano un capitolo a testa? Lucentini dettava a Fruttero nei giorni dispari e Fruttero a Lucentini in quelli pari? Lavorava soltanto uno dei due e l'altro fingeva soltanto di lavorare? C'era un terzo autore? Era qualche "meraviglia del possibile" (per citare il titolo di una fondamentale antologia di fantascienza da loro curata per Einaudi alla fine degli anni cinquanta) a guidare le loro mani da un universo parallelo o dalla quarta dimensione? Be', non l'abbiamo mai saputo né lo sapremo mai con certezza. Franco Lucentini, decidendo d'uscire di scena con insindacabile e coraggioso giudizio,  ha lasciato vedovo il suo socio di tante avventure letterarie e noialtri, gl'innumerevoli suoi tifosi, orfani d'una risposta.

Ma sta di fatto che Fruttero & Lucentini, la creatura favolosa con un debole per la prosa ricca e grassa, per il disincanto filosofico e per le cronache gialle e fantastiche, aveva una sua personalità spiccata. Non era la semplice somma di due personalità. Era una voce distinta, inconfondibile come quella d'un autore solo: una di quelle "terze persone" che parlavano con inflessibile autorità nei romanzi classici. Se questa voce sopravviverà, come pensiamo, alla morte di Franco Lucentini, che ci lascia più poveri, allora potremo finalmente concludere con aria saputa che dopotutto c'era dietro tutto un x file. Un po' come nelle leggendarie controcopertine d'Urania, la testata mondadoriana di fantascienza che Fruttero e Lucentini guidarono non come una qualunque rivista d'intrattenimento ma come una baleniera melvilliana, contro le balene bianche del conformismo  e della cattiva letteratura, negli anni sessanta e settanta.

Anche Fruttero & Lucentini, come tutti i grandi scrittori, hanno avuto sempre per stella polare il fantastico. Del realismo in letteratura, come tutti gli autori di buon senso, fatta eccezione giusto per gl'italiani più chiacchierati nelle terze pagine, non hanno mai saputo che cosa farsene. Soltanto il fantastico, soltanto il paradosso e l'azzardo borgesiano, che segnano tutta la loro opera, potevano rendere giustizia letteraria a quest'Italia delle meraviglie, abitata da alcune tra le più strane e vistose creature dell'universo conosciuto. Allo studio di queste bizzarre creature, all'esame sia della loro singolarità che della loro universalità, Lucio Lucentini ha dedicato l'opera di tutta una vita. Raramente la vita d'uno scrittore (di due scrittori, d'uno scrittore terzo e insondabile) è stata spesa meglio e con maggior vantaggio dei suoi lettori.

Se si pensa che quindici anni fa un altro scrittore devastato dai tormenti psichici come Primo Levi si tolse la vita allo stesso modo, con la stessa silenziosa spettacolarità, si è portati subito a pensare a un gesto tanto forte quanto degno di rispetto. Ma, come avvenne per Levi, anche per Franco Lucentini, che stamattina si è tolto la vita gettandosi nella tromba delle scale, si parla di dubbi: è stato un vero suicidio o un tragico incidente? Era l'11 aprile 1987 quando Primo Levi si uccise a Torino nello stesso modo scelta da Franco Lucentini, amico dell'autore di La tregua. Levi aveva 67 anni e precipitò dalla balaustra del terzo piano. Poco prima aveva fatto una passeggiata, era tornato nel suo appartamento; poi aveva aperto la porta alla custode e aveva preso i giornali e alcuni depliant. Stessa città e stesse modalità, dunque, per i due scrittori suicidi anche se la scioccante morte di Levi anima ancora il dibattito se l'autore scelse davvero di morire. Non manca nemmeno chi sostiene, come alcuni ricercatori di Oxford, che se Levi avesse voluto uccidersi ci sarebbero stati altri modi, visti che era un ingegnere chimico.

A credere alla tesi di una disgrazia è invece il premio Nobel Rita Levi Montalcini che dice di aver chiamato lo scrittore, suo amico per quarant'anni, il giorno prima e di averlo sentito sereno malgrado un male incurabile che aveva colpito la madre. Un dibattito che non si è mai chiuso neppure dopo che l'ex rabbino capo di Roma, Elio Toaff, rivelò di aver ricevuto una telefonata dieci minuti prima del tragico gesto in cui Levi annuncio' le sue intenzioni perché schiacciato dall'immane sofferenza della madre che gli  ricordava le atrocità del lager.

Ma a Torino c'è un altro suicidio illustre, quello di Cesare Pavese. Lo scrittore si tolse la vita sparandosi un colpo di pistola alla tempia anche lui ad agosto, il 27, del 1950. Anche lui a Torino, nella sua stanza dell'Albergo Roma.