|    
              Putin sarà pure amico di Berlusconi 
              ma anche un vecchio navigatore internazionale come Giulio 
              Andreotti, che certo non è un oppositore trinariciuto, 
              non capisce: «Perché lo smantellamento dei sottomarini 
              nucleari russi dovremmo pagarlo noi e non i miliardari moscoviti 
              che si comprano le squadre di calcio?». Totale della somma 
              da scucire: 360 milioni di euro. Cinque volte i soldi dati ai Paesi 
              colpiti dallo tsunami che fece 288 mila morti.  
              Dettaglio curioso: il governo fa bella figura con Mosca tirando 
              fuori 8 milioni di euro, parte dei quali già usati per un 
              party astronomico, gli altri 352 sono sul gobbo dei governi futuri. 
              Li trovino loro, i denari. Sia chiaro: la rimozione delle armi di 
              distruzione di massa degli anni della guerra fredda va fatta nell’interesse 
              di tutti. Ed è giusto che tutti se ne facciano carico. Italia 
              compresa, nonostante siano anni di vacche così magre che 
              Palazzo Chigi ha deciso tagli traumatici perfino alla cooperazione 
              o alle organizzazioni no-profit contro la fame o le malattie nei 
              Paesi più poveri. Ma proprio per questo ogni euro deve essere 
              speso nella massima trasparenza. Cosa che in questa faccenda non 
              accade affatto. Per capirci qualcosa, bisogna tornare indietro di 
              un paio di anni. Siamo ai primi di novembre 2003.  
            A Roma 
              è in corso il vertice Ue-Russia. Quello in cui il Cavaliere, 
              interrompendo Putin nella conferenza stampa («Scusa 
              Vladimir, adesso parlo io») prende le difese della repressione 
              russa in Cecenia, sotto accusa in Europa, parlando di «leggende 
              ». Una sortita che gli procurerà la prima censura votata 
              dal Parlamento europeo a un presidente di turno: «Si deplorano 
              le dichiarazioni...». In questo contesto, il premier firma 
              un accordo che perfeziona un impegno preso nel G8, in base al quale 
              l’Italia smantellerà, appunto, un certo numero di sommergibili 
              nucleari russi.  
              Chi se ne occuperà? La Sogin (Società 
              Gestione Impianti Nucleari), un’azienda che, nata da una costola 
              dell’Enel, incorpora dal ’99 le competenze sulle centrali 
              nucleari italiane. Un gesto di generosità utile nei rapporti 
              internazionali e pure conveniente. Lo sterminato territorio russo, 
              ha infatti spiegato mesi prima il generale Carlo Jean 
              (l’ex consigliere militare di Cossiga messo 
              alla presidenza della Sogin con la benedizione di Antonio 
              Martino, suo collega alla Luiss) potrebbe raccogliere «in 
              cambio» le scorie nucleari italiane che non sappiamo dove 
              mettere.  
            Macché: 
              manco il tempo di firmare e la contropartita cade: «La possibilità 
              di esportare i materiali radioattivi in Russia non è più 
              praticabile», spiega il generale, perché Mosca «si 
              è allineata alla normativa internazionale e rifiuta qualunque 
              ipotesi di stoccaggio permanente». Non bastasse, il progetto, 
              che ha bisogno del via libera parlamentare, va a sbattere in una 
              serie di difficoltà. 
              Anche dentro la destra, dove ad esempio Bruno Tabacci (Udc) 
              o Stefano Saglia e Tommaso Foti (An) scalciano 
              perché l’accordo va solo a beneficio dei russi. Per 
              non dire della sinistra che, sia pure con qualche ambiguità 
              lobbistica, è contraria. Coi verdi, contrarissimi, in prima 
              fila. Non bastasse ancora, emergono difficoltà pratiche: 
              non ci sono i soldi. E tutti i tentativi di rastrellarli (compreso 
              quello del ministro Antonio Marzano di infilare 
              nel 2004 nel decreto sulla competitività, alla chetichella, 
              un comma per istituire un commissario ad acta) vanno a vuoto. Colpa 
              del nuovo ministro Siniscalco, che avendo la competenza in materia 
              visto che la Sogin appartiene al 100% al Tesoro ed è finanziata 
              con lo 0,7% delle bollette elettriche, avoca a sé la pratica: 
              «Fatemi capire». Rimasto al palo, Jean non si perde 
              d’animo. E dopo avere evidentemente avuto un via libera dall’alto, 
              decide di giocare d’anticipo e, nonostante l’accordo 
              non sia stato ancora ratificato, apre un ufficio a Mosca. E qui 
              cominciano i guai. Sede di alto rango. Affitto da capogiro.  
              Dipendenti in quantità (una ventina, pare, tra i quali la 
              sorella del direttore del personale Maurilio Fraboni) non solo lautamente 
              pagati ma lautamente premiati da una ulteriore diaria di 300 euro 
              al giorno, voce che da sola genera un costo di oltre 2 milioni l’anno. 
              Insomma: un debutto alla grande. Come alla grande, stando alle contestazioni 
              fatte in consiglio di amministrazione da Carlo Togni, capo di gabinetto 
              di Altero Matteoli e vice-presidente della Sogin, è la festa 
              (alla quale lui non va, come il rappresentante del Tesoro Fernando 
              Carpentieri) data per brindare al progetto alla presenza di un sacco 
              di gente come il sottosegretario azzurro Giovanni Dell’Elce 
              e il responsabile dell’energia leghista Massimo Polledri. 
               
            Uno strabiliante 
              galà che, rivaleggiando con quello voluto a suo tempo dallo 
              Scià per i 2.500 anni dell’impero persiano con l’ingaggio 
              di centinaia di camerieri del parigino Chez Maxim, del Palace di 
              Saint Moritz e dell’Hotel de Paris di Montecarlo, sarebbe 
              costato 400 mila euro. Fatto sta che a marzo di quest’anno 
              l’Autorità per l’Energia e la Corte dei Conti 
              iniziano a chiedere chiarimenti su come la Sogin spenda i soldi. 
              A metà aprile, l’Autority contesta con una delibera 
              alla Sogin 4,8 milioni di euro di spese, pare tutte relative alla 
              sede di Mosca, perché per coprirle sarebbero stati utilizzati 
              i soldi delle bollette Enel.  
            La società 
              fa ricorso al Tar contestando all’Autorità il potere 
              di censura mentre Jean sostiene che le attività di Mosca 
              sarebbero state finanziate col fondo di 400 milioni di euro che 
              la Sogin aveva in cassa già nel 1999, avendo ceduto i propri 
              impianti all’Enel. Ma il Tesoro blocca il bilancio. E nel 
              Cda Togni e Carpentieri piantano una grana tale 
              che l’assemblea viene rimandata all’inizio di settembre. 
              Anche perché il Cda è in scadenza: chi gestirà 
              i soldi in arrivo? Perché, stavolta, i soldi arrivano davvero. 
              E non solo per il caviale.  
              Con una improvvisa accelerazione, infatti, la Camera ratifica l’accordo 
              e lo passa al Senato dove, il 28 luglio, ha addirittura la precedenza 
              (nonostante la battaglia frontale del verde Stefano Boco, i dubbi 
              della Margherita e le perplessità dell’Udc che si astiene) 
              sul decreto anti-terrorismo dopo le bombe di Londra. Altri sei giorni 
              (sei!) e il ministro Claudio Scajola firma la convenzione 
              che affida alla stessa Sogin, senza gara, la gestione di tutta l’operazione. 
               
              Ma non è tutto. L’accordo, oltre a stabilire che 8 
              milioni saranno tirati fuori adesso e 352 negli anni successivi, 
              «riconosce alla Sogin annualmente un importo aggiuntivo pari 
              al 25% del totale dei costi. Tale importo comprende un’aliquota 
              del 20% destinata alla copertura dei costi per le attività 
              di promozione, di controllo e ispezione svolte dallo stesso ministero». 
              Cosa vuol dire? Boh... Perché il Tesoro deve pagare quella 
              quota in più a una società che è sua? Boh... 
              E il restante 5%? Boh... 
              22 agosto 2005  |