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              "L'ho già detto pubblicamente, e non ho mai avuto dubbi: 
              andrò a votare al referendum, perché sono un cittadino 
              italiano. E voterò "no", per difendere la nostra 
              Costituzione, che è bella, è viva e più attuale 
              che mai". Nel giorno della qualificazione della nazionale italiana 
              ai mondiali di calcio, e a due giorni dal referendum sulla riforma 
              del Polo, che riscrive ben 54 articoli della nostra Carta fondamentale, 
              in casa Ciampi circola un'aria di sano "patriottismo costituzionale", 
              secondo la felice definizione di Jurgen Habermas 
              rilanciata ieri su questo giornale da Pietro Scoppola 
              e sul "Corriere della Sera" da Claudio Magris. 
               
            L'ex presidente della 
              Repubblica non fa mistero della sua soddisfazione per la vittoria 
              degli azzurri, ma non nasconde la sua preoccupazione per i ripetuti 
              tentativi, sempre più frequenti in queste ultime ore, di 
              politicizzare e insieme svalorizzare la Costituzione. Di piegarla 
              a strumento di propaganda politica. Di farne un uso "congiunturale", 
              di parte e di partito.  
            "Lo sapete - ripete 
              ancora una volta Carlo Azeglio Ciampi - nel corso 
              del mio settennato la Costituzione è sempre stata la mia 
              Bibbia civile. E continuerà ad esserlo". Per questo 
              il predecessore di Giorgio Napolitano al Quirinale 
              è più che mai convinto di dover votare no al "colpo 
              di spugna" voluto dal centrodestra nella passata legislatura. 
              Per questo l'attuale senatore a vita non raccoglie l'ultima provocazione 
              lanciata da Silvio Berlusconi, che aveva definito 
              "indegno" chi non voterà sì a quella sedicente 
              "riforma".  
              "Per carità - si schernisce adesso Ciampi - 
              a queste parole non voglio rispondere. Non voglio entrare in questa 
              polemica, anche perché mi pare che chi l'ha sollevata sia 
              già stato costretto ad autosmentirla". Ci tiene, il 
              presidente emerito, a non farsi travolgere dal chiacchiericcio del 
              teatrino politico. A mantenere un profilo alto, istituzionale. Ma 
              non per questo intende rinunciare ad esprimere il suo giudizio sull'oggetto 
              del referendum, che resta fortemente negativo. "E il mio è 
              un no ragionato, non un no acritico", conferma Ciampi, che 
              sulla questione sta studiando da tempo, e ha maturato una convinzione 
              che gli deriva dai pareri e dagli scritti dei più importanti 
              giuristi italiani.  
            Secondo Ciampi, il "pacchetto" 
              di modifiche costituzionali messo insieme dalla Casa delle Libertà 
              - come ha detto l'ex presidente della Consulta Valerio Onida 
              - rischia in effetti di "minare il funzionamento delle istituzioni". 
              Lo confermano i più grandi costituzionalisti italiani, a 
              partire da Gustavo Zagrebelski fino ad arrivare 
              a Andrea Manzella. Lo ha ribadito, proprio in questi 
              ultimi giorni, Francesco Paolo Casavola. "Andate 
              a rileggere quello che ha scritto sul 'Mattino' di Napoli - commenta 
              Ciampi - e capirete perché non si può non votare no 
              a questo referendum".  
            Di quell'articolo, uscito 
              sul quotidiano partenopeo martedì scorso, l'ex Capo dello 
              Stato condivide dalla prima all'ultima riga. A partire da una premessa 
              fondamentale: la riforma del Polo, passata con la formula della 
              revisione costituzionale prevista dall'articolo 138 della stessa 
              Carta, è di fatto illegittima. Il testo approvato dalla Cdl, 
              infatti, mira a cambiare la forma di Stato e di governo, ma così 
              facendo viola l'articolo 139 della stessa Costituzione: "La 
              forma repubblicana - c'è scritto - non può essere 
              oggetto di revisione costituzionale".  
            Questo "istituto", 
              secondo l'articolo 138, era stato pensato dai costituenti per introdurre 
              modifiche "puntuali e circoscritte" della nostra Costituzione. 
              La riforma del Polo è invece una riscrittura radicale, confusa 
              e contraddittoria, della Carta del '48. Qui sta il rimando fondamentale, 
              e di metodo, che Ciampi fa allo scritto di Casavola: "Passare 
              dallo Stato unitario allo Stato federale, dal governo parlamentare 
              al premierato che non ha contrappesi né nel presidente della 
              Repubblica né nel Parlamento, non si può con revisione 
              della Costituzione, perché la Costituzione lo vieta". 
               
            Meglio di così 
              non si poteva dire. E a chi obietta perché Ciampi, quand'era 
              sul Colle, abbia dato via libera e abbia promulgato questo inaccettabile 
              stravolgimento della sua "Bibbia civile", l'ex Capo dello 
              Stato risponde a tono: "Anche questa - dice - è una 
              polemica strumentale. Quel testo, dopo la sua quarta approvazione 
              parlamentare, non è mai passato al Quirinale. E' stato pubblicato 
              direttamente sulla Gazzetta Ufficiale, perché gli italiani 
              potessero poi richiedere il referendum confermativo. E dunque non 
              è mai transitato né sulla mia scrivania, né 
              su quella dei miei uffici giuridici".  
            Se in via del tutto ipotetica 
              questo fosse stato permesso dalle procedure costituzionali, l'ex 
              presidente della Repubblica non avrebbe esitato ad opporre il suo 
              "no" alla promulgazione dell'ennesimo strappo legislativo 
              voluto dal centrodestra, dopo la Gasparri sulle 
              tv, la Castelli sulla giustizia e la Cirielli sulla 
              prescrizione. Perché a Ciampi, anche nel merito, questa riforma 
              sembra inaccettabile. Il senatore a vita non vuole addentrarsi nei 
              dettagli. Ma ancora una volta invita alla lettura dell'articolo 
              di Casavola.  
            La devolution non farà 
              altro che privare il cittadino del principio di uguaglianza di fronte 
              a beni essenziali come la salute, l'istruzione, la sicurezza, "disponibili 
              solo da quell'unico sovrano che è la Nazione". Il premierato 
              "forte" significa solo "l'uscita dal principio delle 
              democrazie costituzionali", secondo cui "ogni potere è 
              bilanciato da un altro potere". Ciampi l'ha detto più 
              volte nel corso del suo settennato, ed oggi ne è ancora più 
              convinto: "La nostra Costituzione è viva e attuale, 
              perché in essa gli italiani si riconoscono ogni giorno". 
               
            Questo non vuol dire 
              che l'ex Capo dello Stato appartenga alla schiera dei cultori del 
              "dogma dell'inviolabilità della Costituzione". 
              Nel corso del suo settennato ha ripetuto più volte, e oggi 
              ne è ancora più convinto, che si possa anche "pensare 
              di ritoccarla, di fare delle correzioni, ma nel rispetto della sua 
              essenza". E purché se ne rispetti il "valido telaio 
              sul quale operare le modifiche necessarie in un mondo che cambia, 
              senza disperderne i principi e i valori fondamentali". Insomma, 
              Ciampi rifiuta lo schema demagogico e ideologico di chi, sul versante 
              dell'attuale opposizione, oggi sostiene che votare sì al 
              referendum significa essere "progressisti e moderni", 
              mentre votare no equivale a qualificarsi come "vecchi e conservatori". 
               
            "Le modifiche alla 
              Costituzione - ragiona in queste ore l'ex Capo dello Stato - sono 
              possibili nei limiti previsti dall'articolo 138 combinato con l'articolo 
              139". Modifiche di portata più ampia, come ha detto 
              durante la sua permanenza sul Colle e come continua a dire anche 
              oggi, "non possono essere affidate solamente ad una parte, 
              sostenendo che vi è una maggioranza che ha i voti e le fa 
              passare a tutti i costi, salvo poi fare ricorso al referendum finale 
              del cittadino". E comunque qualunque modifica dovrebbe assicurare 
              "la coerenza e la funzionalità del quadro costituzionale, 
              nel suo insieme e in tutte le sue parti".  
            E' esattamente questa, 
              la coerenza che manca al disegno "pseudo - riformatore" 
              della Cdl. Che invece, come afferma Casavola e come conviene Ciampi, 
              mira solo a "scambiare per Costituzione un'autorizzazione a 
              governare, per interessi congiunturali o particolari". Ecco 
              perché, una volta di più, il senatore a vita, domenica 
              prossima, scriverà sulla scheda il suo no. Un no che non 
              vuole chiudere, ma semmai aprire una fase di confronto. Rimettere 
              in moto un processo di revisione coerente con i valori irrinunciabili 
              di uno Stato costituzionale. Ci ha lavorato per sette anni, purtroppo 
              inutilmente. Far dialogare i due poli, per garantire una "difesa 
              dinamica dei nostri valori costituzionali".  
            Quel dialogo andrebbe 
              ripreso. Il no al referendum lo consente, il sì rischia di 
              precluderlo per sempre. Sarebbe il peggiore dei mali, secondo Ciampi, 
              convinto insieme a Casavola che "la Costituzione non è 
              di destra né di sinistra, ma è di tutti e per tutti". 
              Si finisce da dove tutto era cominciato: "patriottismo costituzionale". 
              Non c'è altra formula, per descrivere le parole e i pensieri 
              di Ciampi alla vigilia del referendum. C'è giusto il tempo, 
              prima del voto di domenica prossima, per brindare al raddoppio di 
              Inzaghi contro la Repubblica Ceca. "Bella partita", commenta 
              il senatore a vita.  
              Allora, forza Italia. Ciampi sorride, ci pensa un attimo e poi aggiunge: 
              "Sì, sì, forza Italia. Ma non equivochiamo: lo 
              dico in senso calcistico". 
              - L'intervista rilasciata 
              dall'ex presidente Ciampi a Repubblica, in cui 
              ribadisce che voterà "no" al referendum sulla devolution, 
              ha scatenato le ire di Sandro Bondi, portavoce 
              di Forza Italia , che ha commentato :"L'intervista di Ciampi 
              al quotidiano La Repubblica mi ha davvero intristito e sconcertato. 
              Penso che avrebbe potuto e dovuto, sulla base delle comunque discutibili 
              ragioni che adduce nell'intervista, indirizzare un messaggio al 
              Parlamento secondo le prerogative attribuite al Presidente della 
              Repubblica".  
            23 giugno 
              2006  |